25 25 after 89: WORKBOOK – BOB MOULD (12/25)

workbook

Questo ce l’ho dentro, close to the bone, da 25 anni. Non l’ho mai lasciato e non mi lascerà mai. But look how much we’ve grown… Siamo cresciuti, siamo invecchiati: ha ancora senso trovare la propria identità nei dischi? Spesso leggo persone appassionate, che parlano di musica con competenza, e che tutte assertive, a volte anche un po’ ironiche, puntualizzano che no, oggi no, erano tipiche insicurezze giovanili, come potresti, oggi…
Vorrei sentirmi come loro, potergli dare ragione e dire è ovvio…
Non è vero. Non voglio e non vorrei mai…
Amici, forse (ma forse) del rock non avete capito un cazzo.

Per fortuna leggo anche (poche ma buone) persone con cui posso condividere un personal hero come Bob Mould. Qualcuno che come me ha vissuto un po’ troppi lonely afternoon. Qualcuno felice come me di averlo ritrovato in splendida forma in questi ultimi anni. Gente come me che, con album come Silver age e Beauty and ruin, si ritrova dentro un centro di gravità permanente, in un suono ed in una lingua che abbiamo condiviso in quegli anni importanti. E se è ovvio che prima di tutto vengono gli album degli Husker Du, credo che chi ha continuato a seguirlo fino ad oggi abbia per forza amato moltissimo Workbook.

Fu un trauma che gli appassionati della mia generazione ricordano bene: nel giro di pochi mesi perdemmo gli Smiths e gli Husker Du. E mentre Morrissey si buttò nella sua travagliata carriera solistica con una rapidità stupefacente, Bob Mould (così come Grant Hart) passò attraverso un lungo periodo di silenzio prima di affrontare un nuovo esordio. Silenzio soprattutto interiore. Solitudine vera, di quella che ti fa riempire pagine fitte su qualche taccuino. Poi ne esci e i pezzi che lentamente hai rimesso insieme sono sempre la tua vita, ma con una consapevolezza che non ti ha regalato nessuno, tutta roba tua che ti servirà, a volte subito e altre volte molti anni dopo. Il Bob Mould che si manifestò con Workbook sembrava molto diverso, ma lo riconoscevamo in mezzo a quelle canzoni: qui un assolo che squassava l’andamento meditabondo, là un’accelerazione melodica che ti stendeva come nei migliori momenti di Warehouse e Flip your wig.

I volumi di Workbook si impennano spesso, la voce si rompe in frasi buttate fuori senza respirare, eppure per tutti rimane l’album folk-rock di Bob Mould. Tante chitarre acustiche ed elettriche arpeggiate sotto l’influsso della scoperta di Richard Thompson; soprattutto il cello di Jane Scarpantoni, un suono meraviglioso, terso ed introverso, che ritroveremo in tanti e tanti album americani degli anni ’90. Workbook è anche l’imprinting semisconosciuto di due dei dischi più generazionali di quel decennio: Automatic for the people ed In utero letteralmente non sarebbero esistiti senza il Taccuino di Bob Mould. E soprattutto in quel suo ultimo album, Kurt Cobain portava a compimento la strada tracciata: far implodere un rock tutto riff e graffi melodici, far esplodere i lamenti folk più ancestrali, nello stesso disco, nella stessa canzone, nella stessa persona…

La serena consapevolezza che la somma di tutti quei pomeriggi solitari sono stati i nostri poison years vissuti, sprecati, amati, raccontati dai dischi che ci hanno salvato la vita. Non so esattamente da cosa dipenda, ma credo ci siano soglie di ascolto che alcuni attraversano ed altri no. Ed è in quelle frazioni di secondo che ti può succedere. E allora il rock non sarà solo la musica fantastica della tua giovinezza, ma qualcosa di vitale che accompagnerà anche gli anni avvelenati che verranno dopo.

I throw it all away (Don’t talk to me no more)
The more I think, the less I’ve got to say (I don’t remember you no more)
About these poison years: it’s just a memory.

And every time you knock me down
It’s all that I can do to get up off the ground
Pull myself apart again.

Le canzoni di Workbook non contengono il senso della vita, ma in pochi istanti ti riaccendono dentro la missione della ricerca, la direzione ostinata e contraria che la corrente impetuosa della vita ha frenato troppi giorni, la sferzata che ti rimette davanti alla responsabilità di essere te stesso. Workbook ti dà una delle cose più difficili e preziose che si possano trovare: il senso del peccato. Le colpe che ti lasci dietro, il senso del limite che devi accettare e il senso di quello che devi imparare a superare.

How can you qualify
Difference between a sin and a lie
I see my silver lining in the sky

Eravamo preparati per una vita adulta in cui avremmo trovato veleno, menzogne, venti che soffiano e disperdono. Ma forse tutto questo è veramente troppo. Avremmo bisogno di fermarci, di giocarci una seconda possibilità, di reinventare i nostri destini. Non me l’aspettavo questa fottuta paura del futuro, le schiaccianti ragioni per non credere più a nulla e a nessuno. I know I’m a reasoning guy. Però ogni giorno c’è un disco giusto che puoi ascoltare, Wishing well runs wet and dry, il pozzo è pieno e il pozzo è vuoto, le Conventional Babies hanno ricominciato la scuola…

2 pensieri su “25 25 after 89: WORKBOOK – BOB MOULD (12/25)

  1. ” è in quelle frazioni di secondo che ti può succedere. E allora il rock non sarà solo la musica fantastica della tua giovinezza, ma qualcosa di vitale che accompagnerà anche gli anni avvelenati che verranno dopo” qualcosa del genere me l’ha detto oggi mia moglie, riferendosi a tutto un comnpleso di cose, di ritorno da una visista ospedaliera. Hai scritto un pezzo che avrei voluto scrivere io, e si Workbook è uno di quei dischi…sono pochi, a volte li dimentichi, ma poi tornano, tornano. l’ho riascoltato decine di volte questa estate e oggi mi è tornato in mente in uno di quei giorni di bilanci o pseudo tali. cosa erai, cosa sei diventato, cosa hai combinato con il senso del tempo che è passato quando immagini il futuro, quando per deformazione professionale fai i business plan o i budget della trua vita e il solo risuonare di queste parole ti fa capire il tempo trascorso da allora, quando per simili idiozie non c’era posto, ne nel lingiaggio ne nel cuore.

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