Perché era così importante che le band indie riuscissero ad avere successo anche al di fuori del ristretto circuito musicale da cui provenivano? Perché ci tenevamo anche noi che qualcuno dei nostri oscuri e sconosciuti eroi fosse ascoltato da un pubblico più ampio? Sembra così assurdo, adesso. Adesso che siamo adulti maturi (o marciti…). Adesso che della musica non importa più quasi niente a quasi nessuno. Adesso che i ragazzi di adesso fanno altro. Ma allora sembrava davvero importante: una questione Culturale, una pulsione verso il Progresso. Springsteen che riempiva gli stadi; centinaia di migliaia di coetanei che adoravano gli U2. Il rock buono finalmente vinceva… avremmo avuto anche noi i nostri anni ’60? La Gente avrebbe finalmente capito, dopo gli abbrutimenti degli anni ’80?
Un flash dell’estate del 1990. Viaggio in InterRail in Irlanda. Alla fine, più autostop che treno… Comunque, un tardo pomeriggio su un treno abbastanza pieno, soprattutto di studenti e pendolari, attraversando un corridoio in mezzo alle file di sedili da quattro con il tavolino, vedo un paio di ragazzi che armeggiano con il walkman ed un mucchietto di cassette, tutte originali e di album indie abbastanza recenti. Ricordo che riconobbi Isn’t anything dei My Bloody Valentine, gli inevitabili Stone Roses, qualcosa dei Wedding Present ed Automatic dei Jesus and Mary Chain. Roba che su un treno italiano non si sarebbe mai vista, mentre lì l’impressione era che quella musica, per noi così semi-clandestina, confinata nei rock show radiofonici notturni per appassionati, fosse per i nostri coetanei consuetudine comune e condivisa nella quotidianità.
I Jesus and Mary Chain fino a quel momento erano stati la forza più trascinante dell’underground britannico: una pietra miliare come Psychocandy, che accese il motore ad una generazione di band indie, poi un secondo album come Darklands, che delineava alla perfezione l’estetica del lato oscuro dell’anima, dai 60s dei Velvet Underground fino agli 80s dei Goth, della 4AD e degli shoegazers a venire. Fondamentali per noi; completamente ignoti per chi a malapena si era accorto degli Smiths. Eppure anche per loro sembrava il momento giusto per fare il grande salto, ed Automatic era l’album giusto per farlo. Una sequenza di canzoni di tostissimo rock’n’roll, con un suono tirato a lucido, in particolare la ritmica, tutta sintetica senza perder quasi nulla della carica sporca di blues e melodie indie pop. In pratica, inventavano i Depeche Mode degli anni ’90, e soprattutto l’estetica rock fusa con la dance che premiò i Primal Scream al posto loro.
E fu così che il treno per i Jesus and Mary Chain passò definitivamente. Quando li vidi dal vivo, nel 1992, erano ancora forti, con un album molto bello come Honey’s dead, ma sembravano una band del passato: erano arrivati i 90s, il rock alternativo era finalmente esploso, ma loro si erano ritrovati clamorosamente scavalcati. A ripensarci adesso, è veramente una storia pazzesca… Tutto ciò che avevano inventato album dopo album aveva alfine trovato un grande pubblico ed un impatto generazionale, e si ritrovarono ad assistere alla festa dalle retrovie.
Il rock dei Jesus and Mary Chain nel 1989 era un frutto al massimo della maturazione, pronto per essere staccato dal ramo per deliziare il mondo intero. Ma la Storia segue i suoi percorsi ed oggi Automatic è considerato un album secondario nelle vicende del rock. E’ la bellezza e nello stesso tempo il limite di questa musica, che ha bisogno di pompare sangue dentro chi la fa e dentro chi l’ascolta, catturando l’attimo del presente in cui deve vivere; e che quando sono passati gli anni può trovare ancora orecchi attenti ed occhi spalancati solo se la Storia che non c’è stata può rinascere nella vita di qualcuno, fosse anche di uno solo. Nel 2015 c’è ancora uno spazio per i Jesus and Mary Chain: sommando i ventenni di oggi con i trentenni, i quarantenni ed i cinquantenni, si riesce ad organizzare una data perfino in Italia. Un paio di mesi fa hanno riempito la piazza di Ferrara, risuonando tutto Psychocandy ed una manciata di classici. Mia cognata Chiara, nata un anno dopo Psychocandy, mi scrive euforica il giorno dopo: “I nostri amici noise rock hanno spaccato (solo metaforicamente, eh)…”. Per cinque minuti l’ho un po’ invidiata… Poi ho pensato che nel 2015 m’interessano di più Ryan Adams e Jackson Browne; che la mia tacca l’ho già segnata nel 1992 e sono a posto così; ma soprattutto che i motivi per esserci di Chiara e di tutti quelli che non c’erano sono cento volte più giusti e sacrosanti di quelli che avrei avuto io. Perchè per me Psychocandy, ed Automatic, e TUTTO quello che hanno fatto i Jesus and Mary Chain, sono stati tra le strade più eccitanti pericolose importanti della mia vita, e passare di lì mi ha segnato per sempre, e mi piace ricordarmeli, e non me li scorderò mai… Ma se arriva un tempo in cui il blues, ogni tanto, ti lascia in pace, va bene così.
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