Comunque, se mi avessero detto che 25 anni dopo il Presidente del Consiglio avrebbe citato Cara ti amo, non so se ne sarei stato felice.
Renzi cita Elio – Ballarò, 4/11/2014
(da 30’23” a 31′)
Comunque, se mi avessero detto che 25 anni dopo il Presidente del Consiglio avrebbe citato Cara ti amo, non so se ne sarei stato felice.
Renzi cita Elio – Ballarò, 4/11/2014
(da 30’23” a 31′)
What a long strange trip it’s been…
Another BIG thank you to JC, l’inventore dei 45 45s at 45, che ha pubblicato sul suo blog The Vinyl Villain un post di imbarazzante apprezzamento: http://www.thevinylvillain.blogspot.it/2012/12/45-45s-at-45-italian-style.html
La sua storica lista del 2008 si trova, per le posizioni dalla 11 alla 45 (ordine non cronologico), qui: http://thevinylvillain.blogspot.co.uk/2008/04/45-45s-at-45-number-11.html
…mentre i post delle prime 10 posizioni cominciano qui (e proseguono consecutivamente): http://thevinylvillain.blogspot.co.uk/2008/06/45-45s-at-45-number-10.html
E’ stato bello essere il n.2 di questo gioco… speriamo arrivi presto, da qualche parte nel mondo, il n.3…!
E poi, Merry Christmas… Qui ci vuole una B-side d’epoca.
Dove sono tutti i tuoi amici, stanotte? A parte quelli su Facebook, intendo…
Come facciamo a capire se siamo ancora amici, o se è tutto finito quell’ultima volta che ci eravamo visti? Che anno era? Perchè mi ricordo perfettamente ogni anno degli anni ’90, quello che facevo i dischi le persone, mentre non riesco a distinguere bene nessuno degli anni dopo il 2000? Sì, mi ricordo cosa stavo facendo l’11 settembre. Ma di quello che è successo i mesi prima e i mesi dopo, l’anno prima o l’anno dopo… Qualcosa l’ho riletto su Patria di Enrico Deaglio.
You spent the first five years trying to get with the plan
And the next five years trying to be with your friends again
L’altra sera ho rivisto una compagna dei primi due anni del liceo, dopo 29 anni. Io guardavo lei esattamente come lei guardava me: quanto siamo cambiati, quanto siamo rimasti uguali. Ho letto una cosa che aveva pubblicato in bacheca. A un certo punto, fulminante: “…e t’accorgi che trent’anni non son bastati a niente. Che non è vero che si cambia e che nemmeno si cresce; ci si amplifica semmai, si cambia la cassa di risonanza ma la musica rimane la stessa.” Applausi. Eccolo qua, il 45esimo 45.
You’re talking 45 turns just as fast as you can
Yeah, I know it gets tired, but it’s better when we pretend
Dentro All my friends, James Murphy ci ha messo le nostre collezioni di dischi, e tutti i modi in cui dimostriamo la nostra età. Who Bowie Primal Scream Talking Heads Joy Division Pink Floyd Velvet Underground Radiohead Suicide Strokes Arcade Fire… Ogni suono ed ogni parola dicono la verità, tutta la verità su di noi. Ed è questo coraggio di voler fare dischi importanti in un’epoca in cui niente importa veramente, che ha reso LCD Soundsystem l’ultima grande band della nostra generazione. Solo 3 dischi, e poi la forza di dire basta quando nessuno se lo aspetta. Come i Jam, i Clash, gli Smiths, gli Husker Du. Sperando che anche loro resistano sempre alla tentazione di riformarsi.
You drop the first ten years just as fast as you can
And the next ten people who are trying to be polite
Se ne stanno lì, i miei 3 Cd di LCD Soundsystem, tra l’album dei La’s ed il primo dei Led Zeppelin, e sono come gli amici che non vedi mai ma quando ci si vede si parla da amici, senza problemi senza filtri di cose vere, si dicono cose di cui poi ci si ricorda quando è il momento, quando si sopportano educatamente quelli che tocca vedere tutti i giorni. Quei dischi così pieni di cose nostre che ogni volta ti lasciano dentro quello che sapevi insieme a qualcosa di nuovo. Abbiamo famiglie lavori figli incombenze impossibili, la Storia che ci passa sopra mentre aspettiamo e aspettiamo, e quando ci toccano le nostre solitudini sono più profonde. Ma in mezzo sotto o di lato abbiamo questi dischi, alcuni di noi, e quando serve come amici ci danno una mano, come hanno sempre fatto.
You forgot what you meant when you read what you said
And you always knew you were tired, but then
Where are your friends tonight?
Where are your friends tonight?
Where are your friends tonight?
If I could see all my friends tonight
If I could see all my friends tonight
If I could see all my friends tonight
If I could see all my friends tonight
La faccia di Paolo quando Francesca glieli ha fatti trovare veramente, in un locale, tutti i suoi amici, per il 40° compleanno. La faccia di Paolo alla fine di quella serata, dopo 40 anni e tutti quegli amici. E dopo tutti quei dischi scelti per lui (inevitabilmente, un bel po’ di questi 45 45s…). Che lo sai bene di averli, tutti quegli amici e tutti quei dischi, ma quella faccia lì, se vuoi provare a rivedertela, devi andare a cercarla nelle foto di quando eri bambino, prima dell’amplificazione e della cassa di risonanza, prima della vita e del rock’n’roll.
La versione intera
La versione In Lego
Prima di finire, un’altra bonus track gentilmente offerta da Massimiliano Cipo Cipolla, per il quale si applica la deroga sulla regola dell’appartenenza alla Class of ’67. Per due motivi: 1. E’ comunque entrato a far parte della categoria degli splendidi 40enni; 2. E’ l’occasione per rifare, dopo 20 anni, lo Spazio Cipo.
Psychocandy era il nostro primo programma e Cipo faceva la regia per me e Paolo. Venti-venticinque canzoni una volta alla settimana, ma una era sempre riservata a Cipo, costretto a scegliere “per differenza” rispetto alla nostra scaletta. Gli U2 di Achtung baby erano la sua specialità, ed erano tantissime le passioni condivise; ma ogni tanto ci spiazzava con qualcosa che da lui non ci aspettavamo.
Mi ricordo quella volta che dall’interfono ci chiese se conoscevamo i Level Hertz. Chi? I Level Hertz, li ho sentiti alla radio, sembrano un po’ i Waterboys… Alla radio? E che radio era? Non mi ricordo, alla fine hanno detto che erano i Level Hertz, sono sicuro… Mah… Dall’alto delle 2 o 3 riviste al mese che facevo passare e delle ore di Planet Rock + Stereonotte + Radiopopolare + Videomusic accumulate ogni settimana, questi Level Hertz proprio niente… Hai detto Level Hertz? Sììììì! Senti, prova a scriverlo qua… Level Hertz. E sembravano i Waterboys? Sì, col violino e tutto il resto!… Una settimana di mistero, e alla fine, improvvisa, l’illuminazione. I LEVELLERS!!! Recensione letta mesi prima, ignorati in mezzo a quel ben di Dio che nel ’91-’92 pioveva da ogni parte: per Cipo erano la Nuova Band del momento. I pezzi di Levelling the land spinsero via per un po’ gli U2 dallo Spazio Cipo, con grande soddisfazione sua e sollievo nostro…
Per questo Spazio Cipo “20th Anniversary Edition”, Cipo è andato a rovistare tra le vecchie cassette della radio, spulciando i titoli dei “mistini” autoprodotti (che si ascoltavano più degli album veri). Gli U2 li avevo già scelti, i Waterboys pure, gli Smiths ovviamente, i Levellers mi sono guardato bene dal nominarglieli… Per qualche settimana siamo rimasti in sospeso, lui con l’angoscia della scelta, io con la curiosità di sapere cosa sarebbe entrato nella mia lista.
Ebbene, questa What I am? ci sta benissimo appena prima dell’ultimo pezzo “in scaletta”. E’ dell’88, ma da noi arrivò a metà ’89, in quel periodo di passaggio tra anni ’80 e ’90 di cui ho già scritto e che fu molto importante per le mie scelte di vita e per quelle musicali. Era una canzone pop, dilagava anche nelle radio commerciali, ma aveva un’originalità unica ed il coraggio di un testo esistenziale con leggerezza, che si attaccò come l’edera in quei giorni confusi e a cuore aperto. Oggi si stenta a credere che una canzone così particolare fosse in testa alle classifiche: eravamo agli inizi di una serie di annate memorabili, in cui il rock e la buona musica si ritrovarono a sorpresa dalla parte vincente.
Erano anni bellissimi, in cui potevi tranquillamente lasciare un pezzo della preziosissima scaletta in mano al regista sapendo che non te ne saresti pentito… Ok, noi avevamo la fortuna di avere Cipo, ma la fortuna vera di tutti noi è stata quella di poter vivere quegli anni e quei dischi all’età giusta. E a Radio Lodi, in particolare, con una libertà d’azione e d’emozione praticamente totale. Che a ripensarci oggi, l’unica cosa paragonabile, ma solo lontanamente, è farsi il proprio blog…
Grazie Cipo: per te, per me e per tutti noi splendidi 40enni, la domanda è sempre valida.
What I am is what I am
Are you what you are or what?
Questa è la canzone dell’attesa delle mie figlie. La mia canzone del primo giorno delle loro vite. La canzone del privilegio di essere the first face that they saw.
Lo stato di grazia dell’amore, la trasparenza di quando si è veramente se stessi con la persona che si sceglie, con la creatura che si tiene tra le braccia, con il ricordo di chi riempie la parte più importante dentro di noi. C’è il primo giorno, e c’è il resto della vita: tutte le giornate in cui siamo stati ciechi e quelle invece in cui non sappiamo dove siamo, non sappiamo dove siamo stati, ma sappiamo dove vogliamo andare.
Ecco cos’è cambiato nella musica: Bright Eyes, come tutti i migliori artisti di quest’epoca, non potrà mai essere significativo come lo sono stati quelli dei decenni passati. Però le canzoni veramente speciali ce la fanno, entrano nelle vite e negli iPod, si diffondono su YouTube e su Facebook. Forse non sono più dischi, o forse sì. E comunque: please, share this…
Prendi tutta la britishness, l’inglesità di cui ti sei nutrito e che hai interiorizzato per 30 anni. Mettila tutta in una canzone sola.
L’amore per la black music, gente che ascolta roba della Motown, but it’s up to us to change this town called Malice, TOWN CALLED MALICE, il Northern Soul, Quadrophenia, Trainspotting, Ken Loach, Manchester, la musica di Manchester, i Joy Division, to the center of the city in the night waiting for you, il basso di Peter Hook, PETER HOOK, gli Smiths, le copertine degli Smiths, i fan degli Smiths, Morrissey-Marr, the rain falls hard on a humdrum town, Viva hate di Morrissey, i Durutti Column, Madchester, gli Stone Roses, le copertine degli Stone Roses, l’indie-rock prima degli Stone Roses, le chitarre di John Squire alla fine di I am the resurrection, I AM THE RESURRECTION, le voci dei cantanti senza voce, gli Oasis, I live my life in the city where there’s no easy way out, Manchester dopo gli Oasis, le magliette delle squadre di calcio, il New Musical Express e il Melody Maker, i Pink Floyd e i Radiohead, i King Crimson e i Verve, le giacche della tuta, le felpe col cappuccio, gli Easterhouse e i Manic Street Preachers, John Peel, le band indie degli anni ’80, i ventenni che ascoltano le band indie degli anni ’80, i Wedding Present e i Pulp, la Rough Trade, i Rough Trade Shops, gli HMV, le stazioni delle città di provincia, i bambini sui passeggini in metropolitana, i My Bloody Valentine, le band che suonavano fissandosi la punta delle scarpe, LOVELESS, i Ride e gli Spiritualized, Julian Cope e i Chemical Brothers, le playlist di Rockerilla, i cantanti sovrappeso con la barba che non potranno mai avere successo, gli Elbow che nonostante il cantante sovrappeso con la barba fanno un album di successo, i Prefab Sprout e i Cure, i Beatles nel ’66, i Beatles nel ’69, i Beatles dopo la morte di John Lennon, la tua idea dei Beatles, la mia idea dei Beatles, LA NOSTRA IDEA DEI BEATLES, i CD dei Beatles con Repubblica a 9,90, i Monty Python e Little Britain, i Dexy’s Midnight Runners e i Primal Scream, High Fidelity di Nick Hornby, tutti i libri di Nick Hornby, 31 songs di Nick Hornby, NICK HORNBY, come sarebbe stato un film inglese tratto da High Fidelity, i Teenage Fanclub, Songs from Northern Britain, gli occhi della bambina a 3′ e 17″ di questo video, QUESTO VIDEO (guardalo, una volta tanto…)
Quella sera da Ricordi in cima alla mia buy-list c’era Funeral degli Arcade Fire. Avevo letto giudizi favolosi da fonti molto diverse; era ancora la fase iniziale in cui gli Arcade Fire erano il nome nuovo più caldo dell’indie rock, ma invisibili per i media non specializzati. Lo avevo cercato inutilmente sotto la A e disperatamente sotto la F, nel caso qualche commesso incompetente avesse scambiato Funeral per il nome del gruppo e Arcade Fire per il titolo dell’album. Mi ci ero impegnato già da qualche minuto, per poi rassegnarmi ad acquisti meno “urgenti”.
Finito tutto l’ordine alfabetico, la sezione soul, quella folk e country, saltate quelle punk e metal, passati poi in rassegna velocemente i DVD, mi stavo addentrando nella enorme sezione dedicata ai libri sulla musica, quando su uno scaffale poco sotto l’altezza dei miei occhi, in mezzo a vari tomi sul jazz, apparve dal nulla.
Funeral degli Arcade Fire.
L’unica copia in tutto il Ricordi Mega Store (e forse in tutta Milano), lì in un posto dove non c’entrava un tubo, davanti a me, che desideravo quel disco più di ogni altro oggetto musicale.
Lo presi in mano come se fosse la cosa più naturale del mondo. Quel disco era lì per me, solo per me. Era fragrante come una focaccia calda di forno una mattina alle 5 dopo che sei stato in giro tutta notte. Era intonso ed invitante come un pacchetto di figurine quando te ne manca una per finire l’album. Avevo visto neanche mezzo video, ma già sapevo che sarebbe diventato uno dei miei dischi preferiti. E mi convinsi, una volta di più, che non sei tu che trovi i dischi, sono i dischi che trovano te.
Dear Jeff Tweedy,
do you want to play this game? You’re 45 like me, and this is a little funny way to think back to some of the records that made your life. JC The Vinyl Villain invented 45 45s at 45 some years ago and now it’s the turn of the Class of ’67…
It would be great to read what your choices would be; discovering if we have some 45s in common. One of the reasons I love Wilco music is that I feel I share with you a Big History, hundreds of musical references combined with your inventions and thoughts. Some times you bring a cover, more often it’s a few seconds bit in a song: like nods to one parallel world, and some of us listening own that map…
I still can’t understand how I could ignore Wilco (and Uncle Tupelo before) until 10 years ago… I think I’ve read 5 stars reviews of all your previous albums; I was well aware of your collaboration with one of my all-time favourites, Billy Bragg. And I saw you in Bologna Stadium in ’99, opening for R.E.M.: I was impressed, but it wasn’t enough to send me out to buy Summerteeth, A.M. or Being there. Then you released Yankee Hotel Foxtrot in 2002, and since then you are N°1 Band in the Universe.
Now I have all your records and so many songs up there among my dearest treasures. It seems to me that we may be the same age, but your 45 are much more full than my years, your life a path much richer, more serious, more crazy. It’s easier to be on the receiving side, it’s easier to listen than to write the chords of those bitter melodies turning your orbit around; living in the confort zone where we collect all those sad sad songs (and the happy happy ones too…).
I don’t know, maybe you’re not into this Nick Hornby’s High Fidelity state of mind; your way of lovin’ music could be far from these kind of lists. But this is The New Social World, right? So what I’m gonna do is to post this silly letter in the Wilco Facebook page. Yes, I know you’re not checkin’ it in any way, but maybe somebody near you might send it to you; maybe there’s a chance you like this game and send your 45 45s… Etc!
With gratitude from Lodi, Italy.
And the year 2000 won’t change anyone here… Così cantava Morrissey e un po’ aveva ragione, ma anche si sbagliava. La musica rallentò, mentre la Storia e la vita quotidiana raddoppiarono il ritmo. Internet, l’11 settembre e tutto il resto. Troppa bella musica, ma non abbastanza bella. A un certo punto decisi di smettere (dopo 10 anni) di prendere Rumore tutti i mesi ed il mio punto di riferimento fisso divenne definitivamente Uncut. Ero a Londra quando uscì il 1° numero nel ’97, notai la copertina con Elvis Costello e Taxi Driver, ma non lo comprai; l’anno dopo, invece, lo presi per la prima volta, il numero leggendario con Neil Young in copertina e la prima compilation di Americana. Praticamente inventarono un genere, ma a differenza di quelli inventati ed inconsistenti, questo c’era sempre stato, solo che ce l’eravamo tutti dimenticato.
All’inizio non mi lasciai convincere dall’entusiasmo con cui questi nuovi mensili inglesi (anche Mojo, che ormai era un’istituzione) riportavano alla luce la musica del passato, puntando i riflettori sulle nuove leve che sceglievano di rifarsi ai suoni delle radici. Ero ancora troppo attratto dalle mille direzioni esplorate durante gli anni ’90. Però acquistando Uncut ogni tanto, pian piano cominciai ad apprezzarlo sempre di più e a comprendere la scelta di campo per l’Americana e per i classici di ogni tempo. C’era molta più verità in queste scelte tradizionali che nella routine della continua ricerca di nuove tendenze che spazzano via quelle precedenti. E dopo una certa età si ha anche il desiderio di apprezzare tutti gli strati che hanno composto i propri gusti musicali, per cui guardare indietro non è nè sbagliato nè inutile: è semplicemente naturale.
Ryan Adams fu una delle prime, grandi dimostrazioni che Uncut aveva ragione. Avevo ignorato i Whiskeytown negli anni ’90 e quando uscì l’esordio solista Heartbreaker non ero ancora abbastanza convinto. Ma con Gold e l’ennesima recensione entusiastica scattò la scintilla. Il talento di Ryan Adams mi travolse; era vero, le sue canzoni erano fatte della materia dei classici regolarmente passati in rassegna: Dylan, The Band, Van Morrison, Neil Young, Grateful Dead, Rolling Stones… Gold poteva giocarsela alla grande con tutti quei dischi stupendi da cui traeva ispirazione, grazie anche al tocco di contemporaneità di uno che si è fatto le ossa negli anni del grunge e che ha imparato a memoria la discografia di Morrissey e degli Smiths. Un talento esagerato, che poi ha prodotto canzoni ed album in eccesso, forse senza un adeguato controllo di qualità, eppure sempre affascinante per questa urgenza espressiva e per un modo di essere artista privo di calcoli ed opportunismi. Un po’ genio e un po’ testa di minchia, comunque da 11 anni il primo della lista che aspettiamo di vedere in Italia dal vivo Conventional Wife ed io.
Gold partiva subito col passo del capolavoro con New York, New York e si librava in alto mantenendo quel livello fino alla fine. In un disco così è difficile scegliere una canzone preferita, ma sulla più importante non possono esserci dubbi. This video was shot on Friday September 7, 2001. Ryan Adams che canta davanti alle Torri Gemelle quattro giorni prima, le immagini di New York, l’album che usciva proprio in quei giorni. Involontariamente e inevitabilmente, tra i motivi che determinarono la strana aderenza di Gold con lo spirito del tempo, New York, New York celebrava la città del prima e del dopo, la continuità dei milioni di sogni che la rendono la città più bella del mondo, l’eterna innocenza del rock’n’roll e del crederci anche dopo tutto questo tempo.
Quel che c’è da dire su questa canzone dei Pulp (e sull’album a cui dà il titolo), lo dissi alla radio, sotto gli sguardi perplessi di Paolo e Massimo. Dopo 5 anni di notturne solitudini con Taxi Driver e Pre-Millennium, avevamo tutti voglia di fare qualcosa insieme, inserendo un po’ di cazzeggio tra amici in mezzo ai nostri entusiasmi musicali. Quello fu quindi l’anno di RadioLodiNotte: sostanzialmente più battute e risate e meno soliloqui esistenziali.
Quella sera, però, suonammo This is hardcore e mi sentii di dire questo: che l’album dei Pulp stava al trentenne che ero come The queen is dead stava al ventenne di oltre dieci anni prima. I miei due amici lasciarono saggiamente cadere il concetto in una cordiale indifferenza e la cosa finì lì. Però è da allora che quell’intuizione si è fissata tra le mie salde certezze, alle quali fa ora compagnia l’album che sta al quarantenne che sono ora; e sono curioso di scoprire come sarà l’album che starà al cinquantenne che sarò…
Gli Smiths e The queen is dead sono stati una cosa così enorme (e in un’età così cruciale) da avere influenzato l’orientamento generale dell’identità, del modo di guardare il mondo, dei riferimenti stilistici e culturali. Ma anche se la musica dei 20 anni è quella destinata a seguirti per tutta la vita, è comunque impregnata di quel tempo, di come eravamo e di quel che non siamo più. Per questo quando mi accorsi che This is hardcore, dopo i primi ascolti, stava diventando per me molto più di uno dei dischi più belli del periodo, ad un tratto ne compresi il motivo. Quelle canzoni, con la loro sequenza e con i molti picchi emotivi che mi colpivano, stavano mettendo in luce, nel modo più nitido ed impietoso, quello che a 30 anni ero diventato. Non era una scoperta particolarmente confortante. Ma ero io. E quando un disco ti consente di riconoscerti meglio, illumina il percorso fatto e quello da fare. Per me sono cose importanti, anche per lo spazio che occupano sulle pareti e sulle mensole.
Prima di allora, i Pulp non erano ancora entrati tra le mie preferenze assolute. His ‘n’ hers e Different class mi erano piaciuti ed il ruolo che si erano conquistati, dopo averci provato per quasi 15 anni, ai vertici del rock inglese (meglio non dire brit-pop) mi sembrava meritatissimo, ma non riuscivo a connettermi completamente con il loro stile e con la visione del mondo che le straordinarie liriche di Jarvis Cocker rappresentavano. I Pulp divennero miei con This is hardcore. Un album oscuro, ma non deprimente come molti danno ad intendere; sicuramente scomodo e spietato nel mettere in luce la realtà degli anni che passano e della giovinezza che finisce, nei molti modi con cui si conquista la (presunta?) maturità.
Ma a parte l’importanza esistenziale dell’album, questa canzone è davvero bigger than life: sublime nel raccontare come il raggiungimento dell’apice del desiderio (ed il sesso è solo la metafora di tutti i modi di intendere l’amore) corrisponda alla rivelazione che ogni obiettivo al quale dedichiamo la vita finisce dove comincia quello successivo. Un senso di passione altissima e di profondissimo smarrimento, rappresentato con un’intensità sovrannaturale, come fosse la somma dei Joy Division, di Morrissey, di David Bowie e di Nick Cave.
This is the end of the line.
I’ve seen the storyline played out so many times before.
Oh that goes in there,
then that goes in there,
then that goes in there,
then that goes in there,
and then it’s over.
Oh, what a hell of a show.
But what I want to know:
What exactly do you do for an encore?
‘Cause this is hardcore.
Si sentiva che si stava chiudendo un’epoca, anche se non sapevamo che sarebbe avvenuto così rapidamente e con un cambio di scenario così completo. E’ sempre, probabilmente, una cosa solo mia, ma nel tempo alcuni degli album di quegli anni sono diventati tra i più amati proprio per come hanno segnato questa transizione da un decennio di aspirazioni altissime e di energia straripante ad un altro di eredità consapevoli, di ruoli incerti e di futuro incertissimo. Con This is hardcore, New adventures in hi-fi dei R.E.M., Yield dei Pearl Jam, West di Mark Eitzel, Mezzanine dei Massive Attack, Good morning spider degli Sparklehorse, Psience pfiction degli UNKLE, The ideal crash dei Deus sono stati gli album con i quali compresi che il conto alla rovescia della pre-millennium tension non sarebbe terminato con un’esplosione, ma con le prime scelte della vita vera.