An inward revolution – Big Sound Authority

Interrompiamo la sequenza delle 50 Discographies at 50, una volta tanto non per una discografia “in morte di” qualcuno, ma per fare quello che un blog musicale letto da quasi nessuno dovrebbe fare: post su dischi che non ascolta quasi nessuno. Questo è un album che ho comprato su LP quando uscì (alla fine del 1985) e che da qualche anno è di nuovo disponibile per la prima volta in CD, grazie alla fantastica Cherry Red. Per me un brillante gioiellino incastonato in quell’epoca, che corrispondeva ai miei 18 anni. Perfino il luogo in cui lo comprai è strettamente legato a quegli anni: un negozietto apparso a San Bernardo, il mio quartiere di Lodi (nell’ultimissimo tratto di Viale Italia). Ripensandoci, è un esempio perfetto di quanto gli anni 80 siano stati un tempo straordinario per il mercato discografico: esisteva un negozio di dischi perfino nella periferia di una cittadina che da una quindicina d’anni non ne ha più nemmeno uno… Gestito da un quarantenne un po’ stordito (del resto una spiegazione ci doveva essere), non era nemmeno piccolissimo, ma era desolante per la scarsità di 33 e 45 giri esposti. L’improvvisato imprenditore si era preoccupato più di spendere in scaffalature ed espositori che in merce da vendere. L’unico risvolto positivo era che i pochi dischi si vedevano tutti benissimo. Così quando comparve An inward revolution dei Big Sound Authority, quella splendida copertina in bianco e nero si fece subito notare e mi fece comprare l’album immediatamente.

In realtà il nome dei Big Sound Authority mi aveva già colpito fin dalla primavera-estate, quando il singolo This house (Is where your love stands) venne programmato regolarmente da Radio Rai, in particolare a Master (programma cult del primissimo pomeriggio che ebbe come conduttori colonne come Luca De Gennaro, Rupert, Riccardo Pandolfi e future star come Serena Dandini e Grazia Di Michele). Un pezzo soul con una melodia che anche oggi, dopo più di 30 anni, per me se la gioca alla pari con i grandi classici di 20 anni prima, e con una voce femminile che mi intrigava immensamente. Uscì anche un articoletto su Rockstar, ma qui da noi non successe molto altro, a parte un paio di passaggi televisivi ripresi da esibizioni in programmi BBC. Quella stessa estate Radio Rai passava un’altra canzone che si rifaceva ai suoni classici degli anni 60 e che divenne anch’essa un mio piccolo culto: Walking on sunshine di Katrina and The Waves. E mi ha sempre colpito il destino opposto di queste due canzoni così pop e orecchiabili che all’epoca ebbero un successo molto limitato: mentre Walking on sunshine è diventato un classico minore, ancora oggi programmato sui canali vintage ed utilizzato in film e spot pubblicitari, This house è sparita nell’oblio.

Eppure i Big Sound Authority avevano tutte le carte in regola per sfondare: scoperti da Paul Weller, che li lanciò sulla sua piccola etichetta Respond Records mettendo insieme un songwriter eccellente chiamato Tony Burke ed una giovanissima cantante con un talento naturale purissimo (la graziosa Julie Hadwen), vennero rapidamente ingaggiati da una major come MCA che li sostenne molto bene. Erano perfettamente sulla scia degli Style Council del loro illustre mentore ed in sintonia con quel filone del pop-rock inglese di metà anni 80 che si rifaceva alla Black music degli anni 60, e che esprimeva esplicita opposizione politica in questi anni di apoteosi del Thatcherismo. Mixing pop and politics, così cantò pochi anni dopo il più esplicito di tutti, Billy Bragg. Ecco, questo disco perduto è veramente la quintessenza di quella generazione working class che prese dal punk il coraggio di voler essere protagonista, inseguendo le proprie passioni. C’erano i Dexy’s Midnight Runners, i Redskins, gli Housemartins, i Madness e poi tanti altri, soprattutto minori, qualcuno anche con una canzone sola… Tutti sulla scia di Clash e Jam, cercando uno spazio in mezzo a classifiche che non saranno più così ricche di vendite e di talenti originali.

Riascolto queste bellissime canzoni dopo tanti anni, e scopro con sorpresa quelle aggiunte nel secondo CD fatto di singoli, remix ed inediti. E ancora mi rammarico non solo che il mondo non abbia ascoltato, ma che anche in questi anni di retromania, recuperi impossibili e rivalutazioni spesso discutibili, non ci sia stata una seconda possibilità per i Big Sound Authority. Erano davvero bravi: pezzi costruiti benissimo, con testi e musiche di altissimo livello, arrangiamenti sontuosi e produzione in perfetto equilibrio tra classico e moderno, una combinazione di voce maschile-femminile da brividi, in particolare il timbro della dolcissima Julie, morbido come seta ma con quel graffio soul che da allora mi è rimasto conficcato nel cuore. La spiegazione che mi sono dato è che c’è un tempo per tutto e il loro arrivò con uno o due anni di ritardo. La stessa cosa che accadde, pochi mesi dopo, al film Absolute Beginners: doveva essere la celebrazione di quella generazione innamorata del soul e del jazz e fu un fiasco clamoroso. Però la musica era fantastica e per me quella colonna sonora non si tocca, perfino Patsy Kensit e Bowie che canta Volare con i peggiori suoni sintetici dell’epoca. Anche per chi non è uscito vivo dagli anni 80, anche per quelli che sono rimasti solo un ricordo per pochi, niente può cancellare la forza sprigionata da chi è stato Principiante Assoluto in quegli anni, la piccola grande storia di chi ha inseguito una Big Music, o l’Autorità del Grande Suono.