Possiamo sempre ricominciare.
Anche quando sembra troppo tardi. Anche quando nessuno crede più in noi. Anche quando non ci credi più nemmeno tu. Anche quando te ne sei andato e sembrava che non saresti mai tornato. Anche quando hai tradito tutti e soprattutto te stesso. Anche quando non sai bene da dove ricominciare, ma devi, e allora, da qualche parte, ricominci.
My life’s an open book
You read it on the radio
We got nowhere to hide
We got nowhere to go
But if you still decide
That you want to take a ride
Meet me at the wrecking ball
Wrecking ball
Wear something pretty and white
And we’ll go dancin’ tonight
Libertà. Quando Neil Young è tornato, 25+1 anni fa, ci ha spiegato con una sola parola cos’era successo, e cosa doveva succedere. Avevamo smesso di ascoltarlo, perché lui si era giocato fino in fondo il privilegio di fare dischi senza preoccuparsi di venderli. Con tutto quello che c’era da ascoltare negli anni 80, si poteva mica perdere tempo con i suoi esercizi di rockabilly o di elettronica? Forse ancora peggio quando, come molti altri quarantenni, cercava di suonare “gli anni 80” a modo suo, rovinando per sempre raccolte già non ispiratissime. E però è così, adesso lo sappiamo: ogni uomo fa il suo percorso, e quello di un artista rock deve avere deviazioni e fermate anche in posti dove noi non andremmo mai. È la vita. È la libertà. Poi con Freedom i nostri percorsi si sono nuovamente incrociati, e non ci siamo più persi di vista.
Se pensiamo ai motivi per cui a Neil Young continuiamo a perdonare tutto, basta anche solo Rockin’ in the free world. Può tirare le canzoni 25 minuti con i Crazy Horse, chiudersi in una cabina e registrare un disco inascoltabile, mollare la moglie dopo 36 anni per stare con l’attrice gnocca cinquantenne, scrivere biografie con pagine interminabili sulle sue fisse (automobili e Pono, il suo brevetto per riprodurre perfettamente la musica)… Ma sappiamo che ogni tanto gli scapperanno ancora canzoni ed album, magari non così importanti, ma ancora trasudanti bellezza passione energia. Libertà. Il mondo si divide tra chi si fida di Neil Young e chi invece. A tutti quelli lì, posso solo fare una domanda: te la ricordi la prima volta che hai sentito Rockin’ in the free world? Te lo ricordi, che bello è stato ritrovare Neil Young?
Solo adesso mi sono reso conto di come l’ho ascoltato troppo poco, Freedom. L’ho sempre dato per scontato, con i suoi momenti più memorabili (le due versioni di Rockin’ in the free world, Crime in the city, la cover di On Broadway) ed il resto bello, ma ricordato un po’ confusamente; mentre mi sono legato visceralmente a quasi tutti i suoi incredibili anni 90: Ragged glory e Weld, Harvest moon e l’Unplugged, Sleeps with angels e l’album coi Pearl Jam… Da Broken arrow in poi è iniziata la fase attuale, in cui qualche disco talvolta gli esce male, ma ne fa così tanti che quelli buoni (o ottimi), lo sappiamo, prima o poi tornano sempre. Così tanto Neil Young da ascoltare e riascoltare, che senza farlo apposta ho trascurato proprio Freedom… E adesso riesco ad assaporare la sua incredibile attualità come una novità, come un tesoro nascosto. Per niente scontato. Soprattutto se ti fermi a pensare che, prima di Freedom, mica lo sapevamo che si poteva essere Neil Young.
Prima di Freedom, tutto il rock della Libertà, del Sogno e dell’America infinita era già stato suonato, si poteva solo ricordare. Quell’epoca era andata ed il sigillo era stato proprio Hey Hey My My (anche allora ripetuta due volte, prima acustica e poi elettrica). Rock’n’roll will never die era il testimone passato alla generazione di Johnny Rotten ed a quelle successive, perché è meglio bruciare che scomparire. Gli anni 80 erano stati la porta da attraversare per capire se c’è un modo di stare al mondo oltre al rogo che riduce in cenere o allo spegnimento. Non si esce vivi dagli anni 80? È una delle grandi domande di questa serie. E Neil Young è la più straordinaria delle risposte viventi. Keep on rockin’ in the free world. Un SÍ più forte e resistente del grande NO di Kurt Cobain, o del Grande Niente di Elliott Smith. Le domande non sono mai finite: there’s a warnin’ sign on the road ahead… È questo un mondo libero? Abbiamo ancora carburante? Abbiamo ancora strade da percorrere? Keep on rockin’: è come un comandamento.
The artist looked at the producer
The producer sat back
He said, What we have got here
Is a perfect track
But we don’t have a vocal
And we don’t have a song
If we could get
these things accomplished
Nothin’ else could go wrong.
So he balanced the ashtray
As he picked up the phone
And said, Send me a songwriter
Who’s drifted far from home
And make sure that he’s hungry
Make sure he’s alone
Send me a cheeseburger
And a new Rolling Stone.
Yeah.
Non è nemmeno uno dei suoi album migliori, Freedom. Un mazzo di canzoni in cui stanno in traballante equilibrio tutti i vizi e le virtù di Neil Young, con quelle impossibili combinazioni di ingredienti che può permettersi solo lui, innocenti dolcezze ed insensate aggressioni da un pezzo all’altro, spesso nella stessa canzone. Eppure sempre affascinante proprio per i suoi difetti, per gli arrangiamenti improbabili (che però lo rendono inclassificabile e senza tempo), o per i quasi-plagi dylaniani (Crime in the city sfida addirittura All along the watchtower). Ma è la sua importanza storica a farmelo considerare quasi sacro. Intatta è la sua urgenza di vivere la vita dopo i 40 anni come se fossero i 20. Soprattutto per questo, nessuno mai come Neil.
Well, I keep gettin’ younger
My life’s been funny that way