Snapshot – The Strypes

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Un disco fatto da teen agers. Da quanti anni non mi capitava? Se non ricordo male ho mollato dopo il primo degli Arctic Monkeys. Non che non fosse un buon album, anzi; ma a un certo punto compresi che ero stanco. Stanco di farmi raccontare il mondo da ragazzi così giovani, con i quali non avevo realmente niente in comune. Non erano più quelli i miei dischi. Dopo un’ultraventennale rincorsa dietro ogni nuova band da non perdere, me le sono perse tutte. Mi sono perso qualcosa? Forse sì, ma non m’importa più. C’è tanta di quella musica che ho voglia di ascoltare (e così poco tempo) che per dare spazio a un gruppo nuovo devono venire a spiegarmelo belli convinti quei due-tre personaggi di cui mi fido veramente.

Bene, questa volta si è verificata una congiunzione astrale che mi ha convinto ad interrompere questo lunghissimo digiuno dai Dischi d’Esordio. Non capita spesso (forse mai) che una nuova band venga esaltata da due firme diversissime e di cui mi fido ciecamente: Eddy Cilia e Mauro Zambellini. Uno dopo 30 anni ancora e sempre aggiornato sui generi più disparati, l’altro infallibile sul rock classico soprattutto americano. Questi ragazzini irlandesi hanno conquistato entrambi con un album orgogliosamente privo di qualsiasi innovazione, miracolosamente freschissimo e con la forza di un’unica idea e di un solo ingrediente: rock’n’roll sparato fuori con tutta la forza.

Rock’n’roll come si è sempre suonato dagli anni ’60 ad oggi. Da cantina, da garage, da pub, da provincia invisibile. Da compagni di scuola che scoprono il rock’n’roll e vanno fuori di testa. Da adolescenti che vogliono essere i Rolling Stones, quelli del ’65 non lo spettacolo da stadio. Chitarre elettriche very loud, essenzialità indie ma con il blues in più, il blues come lo ascoltavano e lo risputavano fuori i ventenni di 50 anni fa, ed eccolo qua il trucco, come fanno a viversi questa musica come se fosse the only thing that matters?

Abbiamo fatto tutto il giro: negli anni ’80 la nostra musica era figlia del punk e della new wave, anche chi si guardava indietro aveva un DNA progressista e per variare la dieta ci concedevamo ogni tanto qualche riscoperta dei grandi del passato (i cinquantenni ci sembravano vecchissimi, i sessantenni icone da venerare nelle teche, il rock fatto dai vecchi una specie di simpatico fenomeno da baraccone). Adesso mi ritrovo ad ascoltare quasi solo gente dai 40 in su, è perfettamente normale spendere delle cifrone per vedere i settantenni suonare concerti anche abbastanza lunghi, e la stranezza fuori programma sono questi giovani marziani spuntati dal nulla che spingono like The Sixties never ended…

L’altra arma finale dei The Strypes è l’armonica a bocca. No, dico: l’armonica a bocca! Proprio la harp da bluesman originale, ritmica e anfetaminica come e più della batteria pestona, louder than loud guitars. Confermo: divertimento assicurato, piedino che non sta fermo, onde di adrenalina e un bel sorriso stampato di fuori e di dentro. Molto bene. Zambo e il Venerato hanno fatto centro anche stavolta. Però so già che a Snapshot farò fare ancora qualche giro, metterò un pezzo sulla prossima compilation, e poi basta. Non è il posto del mio tesoro; non sta là il mio cuore. Io voglio finire di ascoltare il cofanetto di Nina Simone che ho lì da qualche mese. Chissà se è vero che Springsteen farà uscire un album nuovo alla fine dell’anno. E comunque quello che sto veramente aspettando è la versione da 7 Cd di Fisherman’s Blues. O al limite il nuovo degli Arcade Fire.

P.S. Mi sono venuti in mente due esordi che non ho mancato: Anna Calvi e Jonathan Wilson. Ok, è vero, non contano: sono due giovani-vecchi… Infatti sto aspettando i loro nuovi album…

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